Emily Dickinson

The Complete Poems
Tutte le poesie

F1751 - 1789

Traduzione e note di Giuseppe Ierolli


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Appendice

Indice Franklin
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F1751 (?) / J1717 (?)

Did life's penurious length
Italicize it's sweetness,
The men that daily live
Would stand so deep in joy
That it would clog the cogs
Of that revolving reason
Whose esoteric belt
Protects our sanity.
    Se l'esigua lunghezza della vita
Sottolineasse la sua dolcezza,
Gli uomini che ogni giorno vivono
Sarebbero così immersi nella gioia
Che s'incepperebbero gli ingranaggi
Di quella roteante ragione
La cui esoterica cinghia
Protegge il nostro equilibrio.

Se nel corso dell'esiguo tempo che ci è concesso di vivere venissero enfatizzati troppo gli aspetti piacevoli della vita, rischieremmo di far inceppare i meccanismi della ragione, "roteanti" perché ogni ingranaggio che si rispetti ha bisogno di percorrere tutto il perimetro di una circonferenza, anche quei segmenti di cui faremmo volentieri a meno, altrimenti smette di funzionare e si ferma.
Nell'ultimo verso "sanity" significa "soundness" ("buona salute") ma con riferimento più alla sanità mentale che a quella fisica (nel Webster: "a sound state of mind; the state of mind in the perfect exercise of reason"); per questo ho tradotto con "equilibrio", anche in relazione a quella "roteante ragione" che può essere governata soltanto da un equilibrato uso della mente.


F1752 (?) / J1719 (?)

God is indeed a jealous God -
He cannot bear to see
That we had rather not with Him
But with each other play.
    Dio è davvero un Dio geloso -
Non riesce a sopportare di vedere
Che noi preferiamo non con Lui
Ma l'uno con l'altro giocare.

Più sintetica, ma con lo stesso scanzonato rifiuto della solenne e noiosa figura della divinità della J413-F437.


F1753 (?) / J1720 (?)

Had I known that the first was the last
I should have kept it longer.
Had I known that the last was the first
I should have mixed it stronger.
Cup, it was your fault,
Lip was not the liar.
No, lip it was your's,
Bliss was most to blame.
    Avessi saputo che la prima sarebbe stata l'ultima
L'avrei serbata più a lungo.
Avessi saputo che l'ultima sarebbe stata la prima
L'avrei mescolata con più forza.
Coppa, fu tua la colpa,
Non era il labbro il bugiardo.
No, labbro fu tua,
La Beatitudine era più di tutto da biasimare.

Nell'edizione Johnson al verso 4 si legge "drunk" ("bevuta") al posto di "mixed", e quest'ultimo termine è in nota come variante. Franklin ritiene che sia l'opposto.

Quando abbiamo a disposizione una coppa d'amore, di gioia, raramente ci rendiamo conto che potrebbe essere l'ultima; magari la sorseggiamo in fretta, accontentandoci di un istante di intensa felicità, invece di serbarla e consumarla fino in fondo. E la colpa non è della coppa, ma di quelle labbra avide, che preferiscono un attimo di estasi a un sentimento magari meno intenso, ma più duraturo.


F1754 (?) / J1721 (?)

He was my host - he was my guest,
I never to this day
If I invited him could tell,
Or he invited me.

So infinite our intercourse
So intimate, indeed,
Analysis as capsule seemed
To keeper of the seed.

    Lui mio anfitrione - lui mio ospite,
Mai fino ad oggi
Potrei dire se io invitai lui,
O lui invitò me.

Così infinito il nostro rapporto
Così intimo, davvero,
Che all'analisi come capsula parrebbe
Per il custode del seme.

Il rapporto fra due persone può essere così intimo e duraturo da confondere i ruoli, da farle sembrare una cosa sola, come se fossero un unico contenitore nel quale le individualità si perdono.
Si può pensare a un rapporto d'amore, ma anche a un rapporto spirituale, come fra Dio e una persona che ha fede; quest'ultima interpretazione potrebbe essere sorretta dagli ultimi due versi: "l'analisi di questo rapporto rivelerebbe un corpo che custodisce il seme della vita insieme al suo custode-creatore".


F1755 (?) / J1722 (?)

Her face was in a bed of hair,
Like flowers in a plot -
Her hand was whiter than the sperm
That feeds the sacred light.
Her tongue more tender than the tune
That totters in the leaves -
Who hears may be incredulous,
Who witnesses, believes.
    Il volto di lei era in un letto di capelli,
Come fiori in un'aiuola -
La mano era più bianca del sego
Che nutre il sacro lume.
La lingua più tenera della melodia
Che vibra nelle foglie -
Chi ascolta può essere incredulo,
Chi ne è testimone, crede.

I primi versi sembrano la descrizione di una lei che sta morendo: il volto disteso in un letto di capelli, la mano bianca; poi però quella tenera melodia (anche "magic" in una variante) e, soprattutto, gli ultimi due versi dove il soggetto si fa più misterioso ed evanescente, fanno pensare alla descrizione di qualcosa di fantastico, come una fata dei boschi che si manifesta in melodie che vibrano tra le foglie. Sappiamo che non esiste, che è solo il vento a creare quei suoni, ma non si sa mai, se riuscissimo a vederla davvero forse potremmo ricrederci.
Al terzo verso "sperm" (che significa "sperma") è da intendere come "grasso di balena", usato per fabbricare candele. Webster precisa che "è chiamato così impropriamente, visto che non si tratta di una sostanza spermatica. Ci si fabbricano candele di un bellissimo colore bianco".


F1756 (?) / J1726 (?)

If all the griefs I am to have
Would only come today,
I am so happy I believe
They'd laugh and run away.

If all the joys I am to have
Would only come today,
They could not be so big as this
That happens to me now.

    Se tutti i dolori che dovrò provare
Venissero in una volta oggi,
Sono così felice che credo
Riderebbero e scapperebbero.

Se tutte le gioie che dovrò provare
Venissero in una volta oggi,
Non potrebbero essere grandi come questa
Che a me si manifesta ora.

Un momento di gioia intensa cancella tutto; sia i dolori, sia le gioie che verranno debbono lasciargli il posto, perché un istante così va vissuto e basta.


F1757 (?) / J1728 (?)

Is Immortality a bane
That men are so oppressed?
    È l'Immortalità un veleno letale
Che gli uomini ne sono così oppressi?

Il mistero dell'immortalità opprime talmente le nostre menti che la parola sembra rovesciarsi, trasformandosi in un veleno che dà morte invece di una vita senza fine.
Ho tradotto letteralmente "bane" ("Poison of a deadly quality.") per sottolineare il paradosso dell'immortalità portatrice di morte.


F1758 (?) / J1731 (?)

Love can do all but raise the Dead
I doubt if even that
From such a giant were withheld
Were flesh equivalent

But love is tired and must sleep,
And hungry and must graze
And so abets the shining Fleet
Till it is out of gaze.

    L'amore può far tutto tranne resuscitare i Morti
Dubito se persino questo
A un tale gigante sarebbe negato
Se fosse la carne equivalente

Ma l'amore è stanco e deve dormire,
E affamato e deve pascolare
E così sospinge la Flotta lucente
Finché essa è fuori di vista.

L'amore è il sentimento più forte che esista, potrebbe essere in grado di fare tutto ciò che sembra impossibile, forse persino resuscitare i morti sarebbe alla sua portata, se la carne fosse potente quanto lui. Ma tutta questa forza sembra quasi svanire a contatto col mondo reale, come se l'amore acquistasse i caratteri propri di un corpo mortale e avesse bisogno di dormire e di mangiare; e così l'amore si adegua al mondo, incita le sue armi così fulgide e lucenti ad allontanarsi, lasciando nei nostri occhi soltanto la traccia di quel fulgore, ormai al di là della nostra vista.


F1759 (?) / J1735 (?)

One crown that no one seeks
And yet the highest head
It's isolation coveted
It's stigma deified

While Pontius Pilate lives
In whatsoever hell
That coronation pierces him
He recollects it well.

    Una corona che nessuno cerca
Eppure il capo più eminente
Il suo isolamento bramò
Il suo marchio deificò

Mentre Ponzio Pilato vive
In un qualche inferno
Lo trafigge quell'incoronazione
Ch'egli ricorda bene.

Cristo bramò il privilegio di essere il solo a portare la corona di spine, rendendo divino quel marchio che doveva essere d'infamia. E la condanna di chi lo lasciò morire è di essere eternamente trafitto da quel ricordo.


F1760 (?) / J1736 (?)

Proud of my broken heart, since thou did'st break it,
Proud of the pain I did not feel till thee,

Proud of my night, since thou with moons dost slake it,
Not to partake thy passion, my humility.

Thou can'st not boast, like Jesus, drunken without companion
Was the strong cup of anguish brewed for the Nazarene

Thou can'st not pierce tradition with the peerless puncture,
See! I usurped thy crucifix to honor mine!

    Orgogliosa del mio cuore spezzato, poiché tu lo spezzasti,
Orgogliosa della pena che non sentivo fino a te,

Orgogliosa della mia notte, poiché tu con pleniluni l'hai estinta,
Non condividere la tua passione, la mia umiltà.

Non puoi vantare, come Gesù, l'ubriachezza senza compagno
Che fu l'intensa coppa d'angoscia preparata per il Nazzareno

Non puoi trafiggere la tradizione con l'incomparabile puntura,
Guarda! ho usurpato il tuo crocifisso per onorare il mio!

Qualsiasi pena d'amore è una pena che si sopporta con orgoglio, anche quando si è costretti a rinunciare con umiltà a una passione che si sente condivisa. E l'altro deve essere consapevole che quella angosciosa ebbrezza è comune, non è come quella di Gesù, che bevve da solo l'amara coppa del dolore; per questo non può pensare al suo come a un sacrificio vissuto in solitudine, ma come un calvario in cui entrambi sono crocifissi.
La situazione descritta in questa poesia può far pensare al discusso rapporto con Charles Wadsworth, soprattutto per il verso finale, con quel "tuo" evidenziato riferito a un crocifisso, che richiama alla mente la chiesa del Calvario a San Francisco, dove Wadsworth si trasferì nel 1862.


F1761 (?) / J1741 (?)

That it will never come again
Is what makes life so sweet.
Believing what we dont believe
Does not exhilarate.

That if it be, it be at best
An ablative estate -
This instigates an appetite
Precisely opposite.

    Che non verrà mai di nuovo
È ciò che rende la vita così dolce.
Credere a ciò che non crediamo
Non rallegra.

Che se sarà, sarà al più
Un patrimonio estraneo -
Questo istiga un appetito
Precisamente opposto.

L'unicità della vita è ciò che la rende degna di essere vissuta, perché viverla pensando a un ipotetico aldilà sarebbe come imporsi di credere a qualcosa in cui intimamente non crediamo. Perciò in questa unicità è compreso anche il fatto che non ci sarà nemmeno una vita "altra", o, tutt'al più, che questa seconda vita, se mai dovesse esserci, non potrà che essere completamente staccata da quella precedente, senza legami che ci permettano di riconoscerci in essa attraverso quell'individualità che ci accompagna da vivi. È questa consapevolezza che ci fa respingere questo illusorio "patrimonio ablativo" e ci induce ad assaporare fino in fondo la concretezza del patrimonio concreto che viviamo ogni giorno.
Ho inteso "ablative" col significato che nel Webster è attribuito ad "ablative absolute": "is when a word in that case, is independent, in construction, of the rest of the sentence.", ovvero, qualcosa di indipendente, di singolare e staccato da ogni altra cosa; qui, una possibile vita successiva che non si porterebbe comunque dietro nulla di quella precedente.
Interessanti due commenti, di segno diverso, in due edizioni italiane. Bacigalupo: "Diffidenza nei confronti di un aldilà scarsamente probante (ablativo). Lo spirito è immanente nella vita irripetibile." Tarozzi: "L'unicità della vita, la sua impermanenza porta a desiderare ciò che dura, l'assoluto e l'eterno."


F1762 (?) / J1744 (?)

The joy that has no stem nor core,
Nor seed that we can sow,
Is edible to longing,
But ablative to show.

By fundamental palates
Those products are preferred
Impregnable to transit
And patented by pod.

    La gioia non ha stelo né nocciolo,
Né seme che possiamo seminare,
È commestibile per la brama,
Ma sfuggente da mostrare.

Da palati essenziali
Sono preferiti quei prodotti
Inespugnabili dal transito
E brevettati dal guscio.

La gioia sfama il desiderio di un momento, ma non è adatta a durare; per questo i palati fini preferiscono vivande magari meno forti, ma restie a transiti veloci e adatte a crescere lentamente nel loro guscio.
"Ablative" (vedi la J1741-F1761) credo che abbia qui il significato di qualcosa che viene sottratta, che sfugge alla possibilità di essere esibita. Nel Webster: "A word applied to the sixth case of nouns in the Latin language, in which case are used words when the actions of carrying away, or taking from, are signified."


F1763 (?) / J1745 (?)

The mob within the heart
Police cannot suppress
The riot given at the first
Is authorized as peace

Uncertified of scene
Or signified of sound
But growing like a hurricane
In a congenial ground.

    I disordini del cuore
La polizia non può reprimere
Il tumulto una volta iniziato
È autorizzato come la pace.

Non certificato dalla vista
O rivelato dal suono
Ma in crescendo come un uragano
In un terreno congeniale.

I disordini del cuore ("mob" significa "Un affollarsi di moltitudini promiscue, rudi, tumultuose e disordinate. Un'assemblea disordinata.") non possono essere repressi da interventi esterni, anzi, è come se avessero ottenuto l'autorizzazione ad agire, come se fossero una folla pacifica. Pur non avendo manifestazioni esteriori crescono tumultuosamente, come un uragano che ha trovato un terreno a lui congeniale.


F1764 (?) / J1746 (?)

The most important population
Unnoticed dwell.
They have a heaven each instant
Not any hell.

Their names, unless you know them,
'Twere useless tell.
Of bumble bees and other nations
The grass is full.

    La popolazione più importante
Inosservata risiede.
Hanno un paradiso in ogni istante
Mai l'inferno.

I loro nomi, a meno che non li si conosca,
Sarebbe inutile dirli.
Di bombi e altre nazioni
È piena l'erba.

Un popolo nascosto, che riempie l'erba e non ha il nostro affanno di sapere quale destino gli sarà riservato: conosce soltanto il paradiso della natura.


F1765 (?) / J1747 (?)

The parasol is the umbrella's daughter,
And associates with a fan
While her father abuts the tempest
And abridges the rain.

The former assists a siren
In her serene display;
But her father is borne and honored,
And borrowed to this day.

    Il parasole è figlio dell'ombrello,
E si associa a un ventaglio
Mentre il padre va incontro alla tempesta
E riduce la pioggia.

Il primo assiste una sirena
Nel suo sereno mettersi in mostra;
Ma il padre è portato e onorato,
E preso in prestito a tutt'oggi.

Una scherzosa comparazione tra il parasole e l'ombrello, due oggetti molto simili, tanto da sembrare padre e figlio (l'originale è più efficace: "daughter", ovvero "figlia", dà più l'idea dell'uso al femminile del parasole), ma, come spesso accade tra padri e figli, così diversi: l'uno serve ad abbellire una sirena civettuola, che lo usa, insieme al ventaglio, per mettersi meglio in mostra; l'altro è più concreto e utile, tanto che è continuamente oggetto di "prestiti", più o meno volontari.


F1766 (?) / J1749 (?)

The waters chased him as he fled,
Not daring look behind;
A billow whispered in his Ear,
"Come home with me, my friend;
My parlor is of shriven glass,
My pantry has a fish
For every palate in the Year," -
To this revolting bliss
The object floating at his side
Made no distinct reply.
    Le acque lo inseguirono mentre fuggiva,
Non osando guardare indietro;
Un'onda gli sussurrò all'Orecchio,
"Vieni a casa con me, amico mio;
Il mio salotto è di puro cristallo,
La mia tavola ha pesce
Per ogni palato tutto l'Anno," -
A questa rivoltante beatitudine
L'oggetto che galleggiava al suo fianco
Diede un'indistinta risposta.

Il mare assume qui il ruolo di diavolo tentatore, che insegue e lusinga. La risposta viene da un "oggetto" che galleggia a fianco di chi è tentato: l'anima? la coscienza? qualsiasi cosa essa sia la sua risposta è incerta, anche se la "rivoltante" beatitudine promessa sembrerebbe preludere a un rifiuto. Ma l'ultimo verso suggerisce piuttosto un dubbio, o almeno una risposta che non sembra proprio un chiaro rifiuto.
Al verso 5 "shriven" è participio passato di "to shrive": "confessare, mondare dai peccati, assegnare una penitenza dopo la confessione"; ho aggettivato il participio e tradotto con "puro".


F1767 (?) / J1750 (?)

The words the happy say
Are paltry melody
But those the silent feel
Are beautiful -
    Le parole dette dal felice
Sono rozza melodia
Ma quelle provate dal silente
Sono bellissime -

Esprimere un sentimento con le parole è sempre un po' volgarizzarlo; le stesse parole, non pronunciate ma sentite dentro di sé, diventano bellissime.


F1768 (?) / J1751 (?)

There comes an hour when begging stops,
When the long interceding lips
Perceive their prayer is vain.
"Thou shalt not" is a kinder sword
Than from a disappointing God
"Disciple, call again."
    Viene l'ora in cui termina la supplica,
Quando le labbra a lungo mediatrici
Percepiscono che la preghiera è vana.
"Non devi" è più benevola spada
Che da un frustrante Dio
Un "Discepolo, ripassa."

Arriva il momento in cui si rinuncia al dubbio, o a un desiderio fortemente voluto; o meglio, si accetta di non sapere, ci si rassegna a non avere, una condizione meno frustrante di un continuo chiedere che non approda a nulla.


F1769 (?) / J1752 (?)

This docile one inter
While we who dare to live
Arraign the sunny brevity
That sparkles to the Grave.

On her departing span
No wilderness remain
As dauntless in the House of Death
As if it were her own -

    Docile chi è interrato
Mentre noi che osiamo vivere
Accusiamo la brevità del sole
Che brilla su quella Tomba.

Nello spazio della sua dipartita
Non resta desolazione
Così impavida nella Casa della Morte
Come se fosse la sua.

Sulla trascrizione di Millicent Todd intervenne poi la madre Mabel, con piccole correzioni e aggiungendo varianti alle due già inserite dalla figlia, fra le quali due per l'intero verso 7: "As playful in the Porch of Death" ("Così giocosa nel Patio della Morte") e "As happy in her crib of dust" ("Così felice in quella casetta di polvere").

Il compianto e la reazione contro la morte appartengono a chi resta, mentre chi muore non può che accettare docilmente il suo destino e prepararsi ad abitare quella che d'ora in poi sarà la sua casa.
Il pronome al quinto verso fa pensare a un soggetto reale, femminile, non identificabile anche perché la mancanza del manoscritto non permette datazione.


F1770 (?) / J1753 (?)

Through those old grounds of memory,
The sauntering alone
Is a divine intemperance
A prudent man would shun.
Of liquors that are vended
'Tis easy to beware
But statutes do not meddle
With the internal bar.
Pernicious as the sunset
Permitting to pursue
But impotent to gather,
The tranquil perfidy
Alloys our firmer moments
With that severest gold
Convenient to the longing
But otherwise withheld.
    Per quei vecchi campi della memoria,
Vagabondare da soli
È un'intemperanza divina
Che un uomo prudente eviterebbe.
Da liquori in vendita
È facile guardarsi
Ma gli statuti non hanno a che fare
Col tribunale interno.
Perniciosa come il tramonto
Che permette di perseguire
Ma impotente a raccogliere,
La tranquilla perfidia
Lega i nostri momenti più saldi
Con quell'oro inflessibile
Conveniente per il desiderio
Ma altrimenti negato.

Ripercorrere la propria memoria è un esercizio pericoloso, che una persona prudente dovrebbe evitare. È molto più facile difendersi dal mondo che da quel tribunale interno, sempre pronto a far risalire alla mente ricordi che possono sì soddisfare i nostri desideri di ripercorrere il passato, ma che poi non approdano a nulla, forse perché desideriamo quasi sempre impossibili ritorni, di cose, persone o sentimenti ormai soltanto legati all'inflessibile e prezioso archivio della memoria ma impraticabili nel presente.


F1771 (?) / J1756 (?)

'Twas here my summer paused
What ripeness after then
To other scene or other soul
My sentence had begun.

To winter to remove
With winter to abide
Go manacle your icicle
Against your Tropic Bride

    Fu qui che la mia estate s'interruppe
Che maturazione dopo di allora
Verso altro scenario o altra anima
La mia sentenza ebbe inizio.

Verso l'inverno muovere
Con l'inverno convivere
Va' ad ammanettare il tuo ghiacciolo
Alla tua Sposa Tropicale

L'estate finisce quando finisce l'amore; da quel momento la sentenza è esecutiva e ci porta in uno scenario completamente diverso, come se avessimo cambiato anche la nostra anima. È una sentenza che prevede di andare verso l'inverno, di convivere col suo gelo, come se una sposa fino a qual momento ardente d'amore si trovasse ammanettata a un freddo e inerte ghiacciolo.


F1772 (?) / J1738 (?)

Softened by Time's consummate plush,
How sleek the woe appears
That threatened childhood's citadel
And undermined the years.

Bisected now, by bleaker griefs,
We envy the despair
That devastated childhood's realm,
So easy to repair.

    Ammorbidito dalla perfetta felpa del tempo,
Come appare smussato l'affanno
Che minacciava la cittadella della fanciullezza
Ed erodeva gli anni.

Spezzati ora, da più crudi dolori,
Invidiamo la disperazione
Che devastava il reame della fanciullezza,
Così facile da riparare.

Il tempo ha ormai smussato quegli affanni che sembravano così irreparabili quando eravamo fanciulli; ora siamo alle prese con dolori molto più difficili da trattare e invidiamo quella disperazione, che a distanza ci sembra così banale e facile da superare.


F1773 (?) / J1732 (?)

My life closed twice before it's close;
It yet remains to see
If Immortality unveil
A third event to me,

So huge, so hopeless to conceive
As these that twice befell.
Parting is all we know of heaven,
And all we need of hell.

    La mia vita finì due volte prima della sua fine;
Resta ancora da vedere
Se l'Immortalità non sveli
Un terzo evento a me,

Così immenso, così disperante da concepire
Come quelli che due volte accaddero.
Separazione è quanto sappiamo del cielo,
E quanto ci basta dell'inferno.

Johnson annota: "Nessuna copia autografa è conosciuta di questa poesia giustamente famosa. A meno che non se ne trovi una, ogni ipotesi circa il suo significato autobiografico è vana.". Non possiamo perciò sapere quali siano state quelle "due volte", citate qui ma anche nella J49-F39. In entrambe le poesie è chiaro che si parla di due lutti: là è detto esplicitamente ("was in the sod"), qui il "Departing" del penultimo verso e il senso di separazione assoluta e irreparabile dei versi ci porta alla stessa conclusione.
Gli ultimi due versi mettono in parallelo il paradiso e l'inferno, come se fossero due facce della stessa medaglia, accomunate da quella "separazione" che sembra connotarle entrambe. Il "terzo evento", ipotetico ma descritto come se fosse inevitabile, è quello che ci svelerà la morte: un'immortalità promessa che in realtà sembra molto più probabile possa diventare un immenso e disperante viaggio nel nulla; l'ultima e più definitiva separazione.


F1774 (?) / J1711 (?)

A face devoid of love or grace,
A hateful, hard, successful face,
A face with which a stone
Would feel as thoroughly at ease
As were they old acquaintances -
First time together thrown.
    Una faccia priva d'amore o grazia,
Un'odiosa, dura, faccia di successo,
Un faccia con la quale una pietra
Si sentirebbe totalmente a suo agio
Come se fossero vecchie conoscenze -
Tirate per la prima volta insieme.

La descrizione di una faccia non certo simpatica, che viene voglia di tirare come si farebbe con una pietra, perché di quella ha la durezza priva di qualsiasi sentimento.


F1775 (?) / J1757 (?)

Upon the gallows hung a wretch,
Too sullied for the hell
To which the law entitled him.
As nature's curtain fell
The one who bore him tottered in, -
For this was woman's son.
"'Twere all I had," she stricken gasped -
Oh, what a livid boon!
    Dalla forca pendeva uno sventurato,
Troppo sudicio per l'inferno
Al quale la legge l'aveva indirizzato.
Mentre cadeva il sipario della natura
Colei che l'aveva partorito venne barcollando, -
Perché era figlio di donna.
"Era tutto ciò che avevo", affranta ansimò -
Oh, che livido dono!

Anche un pendaglio da forca, la cui anima è troppo sudicia persino per l'inferno, ha una madre che soffre per lui, che vede quel corpo ormai illividito, quell'uomo reietto da tutti, soltanto come un figlio da piangere.


F1776 (?) / J1748 (?)

The reticent volcano keeps
His never slumbering plan;
Confided are his projects pink
To no precarious man.

If nature will not tell the tale
Jehovah told to her
Can human nature not proceed
Without a listener?

Admonished by her buckled lips
Let every prater be
The only secret neighbors keep
Is Immortality.

    Il reticente vulcano custodisce
Il suo piano mai assopito;
I suoi progetti rosa sono confidati
A uomo non effimero.

Se la natura non racconterà la storia
Che Jehovah le raccontò
Potrà mai la natura umana procedere
Senza un ascoltatore?

Ammonito dalle sue labbra sigillate
Ogni chiacchierone sia
Il solo segreto che i vicini mantengono
È l'Immortalità.

Nell'edizione Johnson al verso 7 si legge "survive" ("sopravvivere") e "proceed" è indicata come variante; lo stesso al verso 10 con "babbler" ("imbroglione") e "prater" e al verso 11 con "people" ("gente") e "neighbors". Franklin ritiene che sia l'opposto. In entrambe le edizioni è indicata come variante al verso 11 "shun" ("rifuggono") al posto di "keep".

Il vulcano è il simbolo della natura che tiene ben celati nelle sue profondità i segreti del piano divino, un progetto che non può certo essere confidato a uomini mortali e perciò effimeri. Se la natura continuerà a non rivelare quei segreti, riuscirà l'uomo a procedere nel suo cammino senza aver nulla da raccontare a nessuno? Ma forse è proprio questo il destino dell'uomo, un destino suggerito dal silenzio della natura: quello di non sapere, di dover mantenere, suo malgrado, un segreto di cui in realtà non sa nulla.


F1777 (?) / J1754 (?)

To lose thee - sweeter than to gain
All other hearts I knew.
'Tis true the drought is destitute,
But then, I had the dew!

The Caspian has it's realms of sand,
It's other realm of sea.
Without the sterile perquisite,
No Caspian could be.

    Perdere te - più dolce che guadagnare
Tutti gli altri cuori che conosco.
È vero che la siccità è indigenza,
Ma allora, ho avuto la rugiada!

Il Caspio ha il suo regno di sabbia,
L'altro suo regno di mare.
Senza la sterile prerogativa,
Nessun Caspio potrebbe esserci.

L'amore è un sentimento assoluto e unico, perderlo presuppone l'averlo avuto prima; per questo è più dolce quella perdita rispetto a guadagni non richiesti. Vivere nella siccità significa patire, ma significa anche aver gustato prima le dolci gocce di rugiada. In fin dei conti nulla ha una sola faccia, anche il mare presuppone, oltre all'acqua, un'arida spiaggia, senza la quale non sarebbe più mare.


F1778 (?) / J1723 (?)

High from the earth I heard a bird;
He trod upon the trees
As he esteemed them trifles,
And then he spied a breeze,
And situated softly
Upon a pile of wind
Which in a perturbation
Nature had left behind.
A joyous going fellow
I gathered from his talk
Which both of benediction
And badinage partook
Without apparent burden.
I subsequently learned
He was the faithful father
Of a dependent brood.
And this untoward transport
His remedy for care, -
A contrast to our respites.
How different we are!
    Alto sopra la terra udii un uccello;
Procedeva al di sopra degli alberi
Come se li reputasse inezie,
E poi avvistò una brezza,
E si sistemo mollemente
Su un cumulo di vento
Che in una perturbazione
La natura aveva lasciato indietro.
Un gioioso giramondo
Lo intuii dalle sue chiacchiere
Che sia a benedizione
Che a burla partecipava
Senza apparenti oneri.
Successivamente appresi
Che era il padre fedele
D'una nidiata a suo carico.
E quell'indisciplinato vagare
Il suo rimedio per gli affanni, -
Il contrario delle nostre pause.
Come siamo diversi!

In entrambe le edizioni critiche, conformemente alla trascrizione di Mabel Todd, il verso 12 ("And badinage partook") termina con un punto. Visto che non si tratta di un testo autografo, mi sono permesso di spostarlo al verso successivo.

Il vagare spensierato di un uccello, che sembra libero da ogni dovere, si rivela un rimedio salutare per gli affanni di un padre con molti figli a carico, un rimedio molto diverso dalle pause di riposo che ci concediamo noi. L'ultimo verso può essere letto come una constatazione, in fin dei conti noi non siamo uccelli, ma anche come un implicito invito a provare anche noi quelle sensazioni di spensierata libertà; il riposo allevia le fatiche del corpo, ma non bisogna mai dimenticare la voglia di volare "high from the earth" della nostra mente e del nostro spirito.


F1779 (?) / J1755 (?)

To make a prairie it takes a clover and one bee,
One clover, and a bee,
And revery.
The revery alone will do,
If bees are few.
    Per fare un prato va benone un trifoglio e un calabrone,
Un trifoglio, e un calabrone,
E immaginazione.
L'immaginazione da sola basterà,
Se di calabroni penuria ci sarà.

Il mondo è fatto di piccole cose ma, soprattutto, di fantasia, sogno, immaginazione. Se manca qualcosa si può supplire con la fantasia, se manca questa l'abbondanza non servirà a nulla.
Il testo non ha quasi bisogno di traduzione, ho preferito perciò prendermi qualche libertà e mantenere la struttura delle rime: aaabb con rimalmezzo al primo verso.


F1780 (?) / J1740 (?)

Sweet is the swamp with it's secrets,
Until we meet a snake;
'Tis then we sigh for houses,
And our departure take
At that enthralling gallop
That only childhood knows.
A snake is nature's treason,
And awe is where it goes.
    Dolce è lo stagno con i suoi segreti,
Finché non incontriamo una serpe;
È allora che rimpiangiamo le case,
E prendiamo la fuga
A quell'inebriante galoppo
Che solo la fanciullezza conosce.
Una serpe è il tradimento della natura,
E allo sgomento è dove mira.

Nell'edizione Johnson al verso 7 si legge "summer's" ("dell'estate") e "nature's" è indicata come variante; lo stesso al verso 8 con "guile" ("inganno") e "awe". Franklin ritiene che sia l'opposto. In entrambe le edizioni è indicata come variante al verso 7 "drama" al posto di "treason".

La natura non è sempre docile e bella; talvolta nasconde in sé insidie e paure, le stesse che ci facevano correre via quando eravamo fanciulli, ansiosi di lasciare quei luoghi così affascinanti, ma anche così pieni di incognite, per tornare nel rassicurante rifugio casalingo.


F1781 (?) / J1742 (?)

The distance that the dead have gone
Does not at first appear;
Their coming back seems possible
For many an ardent year.

And then, that we have followed them,
We more than half suspect,
So intimate have we become
With their dear retrospect.

    La distanza a cui i morti sono andati
Dapprima non appare;
Il loro tornare sembra possibile
Per molto più di un ardente anno.

E poi, quello di averli seguiti,
Per noi più di un mezzo sospetto,
Tanto intimi siamo diventati
Della loro cara rimembranza.

È difficile accettare la morte delle persone care; all'inizio non ci rendiamo conto della realtà di quella separazione così assoluta e la nostra mente sembra non escludere un impossibile ritorno. Poi il ricordo continuo, l'affetto che dura anche oltre la morte, ce li fa sentire sempre più vicini, quasi che fossimo anche noi con loro, in una intimità che è solo nella nostra memoria ma, proprio per questo, ci sembra più reale della realtà stessa.


F1782 (?) / J1724 (?)

How dare the robins sing,
When men and women hear
Who since they went to their account
Have settled with the year! -
Paid all that life had earned
In one consummate bill.
And now, what life or death can do
Is immaterial.
Insulting is the sun
To him whose mortal light
Beguiled of immortality
Bequeath him to the night.
Extinct be every hum
In deference to him
Whose garden wrestled with the dew,
At daybreak overcome!
    Come osano i pettirossi cantare,
Quando li ascoltano uomini e donne
Che una volta avviatisi alla resa dei conti
Si bloccarono a quell'anno! -
Pagato tutto ciò che la vita aveva guadagnato
In un conto definitivo.
E ora, che cosa vita o morte siano
È irrilevante.
Insultante è il sole
A colui che la luce mortale
Ingannata dall'immortalità
Ha lasciato alla notte.
Estinto sia ogni brusio
Per rispetto a colui
Il cui giardino in lotta con la rugiada,
Allo spuntar del giorno fu sopraffatto!

Le più semplici e usuali manifestazioni della natura, il canto di un pettirosso, il sorgere del sole, diventano un'offesa per chi è ormai definitivamente consegnato al muto buio della notte. Possiamo soltanto tacere per rispettare coloro che dormono sotto quel giardino che non ha neanche la forza di opporsi alla lieve rugiada mattutina.
I versi 9-12 sono senza appello nel condannare quell'illusione di immortalità che diventa una notte paragonabile soltanto al nulla.


F1783 (?) / J1716 (?)

Death is like the insect
Menacing the tree,
Competent to kill it,
But decoyed may be.

Bait it with the balsam
Seek it with the saw,
Baffle, if it cost you
Everything you are.

Then, if it have burrowed
Out of reach of skill -
Wring the tree and leave it.
'Tis the vermin's will.

    La morte è simile all'insetto
Che minaccia l'albero,
Capace di ucciderlo,
Ma può essere attirato.

Adescalo col balsamo
Cercalo con la sega,
Beffalo, ti costi pure
Tutto ciò che hai.

Poi, se fosse rintanato
Oltre ogni possibilità -
Rivolta l'albero e abbandonalo.
È il volere del verme.

La morte non va accettata supinamente. Bisogna combatterla, cercare di stanarla dal luogo dove cerca di infiltrarsi per uccidere. Solo quando ci rendiamo conto che combatterla è al di là delle nostre forze, possiamo abbandonare la lotta e rassegnarci a subire la sua volontà.


F1784 (?) / J1743 (?)

The grave my little cottage is,
Where "Keeping house" for thee
I make my parlor orderly
And lay the marble tea.

For two divided, briefly,
A cycle, it may be,
Till everlasting life unite
In strong society.

    La tomba è il mio piccolo cottage,
Dove "Rigovernando" per te
Metto il salotto in ordine
E preparo marmoreo tè.

Per due divisi, breve,
Un ciclo, può essere,
Finché vita perenne unisca
In salda compagnia.

La separazione dopo la morte diventa quasi vita in comune, con lei che sbriga le faccende come se vivesse un normale menage coniugale nella tomba. Una vita-morte che sarà probabilmente breve, solo un passeggero ciclo naturale in attesa dell'unione eterna.


F1785 (?) / J1767 (?)

Sweet hours have perished here,
This is a timid room -
Within it's precincts hopes have played
Now fallow in the tomb.
    Dolci ore sono perite qui,
Questo è un luogo timoroso -
Entro i suoi confini hanno giocato speranze
Ora inerti nella tomba.

La versione riportata sopra è quella dell'edizione Franklin, ripresa dalla trascrizione di Mabel Loomis Todd. Johnson riprende invece le prime edizioni a stampa (1896 e 1924), dove si legge "mighty" ("potente") al posto di "timid" al v. 2 ed è accolta una variante del manoscritto della Todd: "shadows" ("ombre") al posto di "fallow" nell'ultimo verso.
L'assenza del manoscritto originale non permette di determinare il testo esatto.

I cimiteri racchiudono dolci ore ormai spente e speranze che non giocheranno più con il futuro.


F1786 (?) / J1759 (?)

Which misses most -
The hand that tends
Or heart so gently borne,
'Tis twice as heavy as it was
Because the hand is gone?
Which blesses most
The lip that can,
Or that that went to sleep
With "if I could" endeavoring
Without the strength to shape?
    Che cosa manca di più -
La mano che dà sollievo
O il cuore così lievemente portato,
Due volte più pesante di com'era
Poiché la mano se n'è andata?
Che cosa santifica di più
Il labbro che può,
O quello che andò a dormire
Tentando un "se potessi"
Senza la forza di foggiare?

Il testo è noto da due trascrizioni: di Frances Norcross (quella riportata sopra) e di Mabel Todd. Non è accertato se Mabel Todd abbia trascritto la poesia da un autografo, ora perduto, o dalla trascrizione di Frances Norcross; le due versioni sono praticamente identiche, a parte qualche modifica nella punteggiatura e la divisione in due strofe della seconda.

Due domande a cui ED dà due risposte ciascuna; le risposte, o meglio le alternative, alle due domande sono simmetriche: la prima è connotata di attiva certezza (la mano che aiuta e il labbro capace di pronunciare parole certe), la seconda di dubbio incerto e sfuggente (la mano che se va e lascia il cuore pesante più di prima e il labbro che va a dormire con parole di incertezza e conscio dei propri limiti). Qual è la riposta giusta? Che cos'è che ci manca di più, o che ci santifica di più, la certezza della fede o l'incertezza del dubbio? La costruzione dei versi sembra proprio indicare nella seconda coppia, quella connotata di incertezza, la riposta più giusta: le certezze hanno un limite oltre il quale non riescono ad andare, danno risposte alle quali bisogna credere senza chiedere; il dubbio è l'alimento di una vita che non accetta l'illusorio sapere del non chiedere.
La simmetria delle due coppie di alternative ha anche una rappresentazione formale: le due certezze sono lapidarie, per ciascuna di esse basta un solo verso; il dubbio invece, com'è sua natura, è più sfumato, ha bisogno di tre versi per essere descritto.


F1787 (?) / J1762 (?)

Were nature mortal lady
Who had so little time
To pack her trunk and order
The great exchange of clime -

How rapid, how momentous -
What exigencies were -
But nature will be ready
And have an hour to spare.

To make some trifle fairer
That was too fair before -
Enchanting by remaining,
And by departure more.

    Se la natura fosse una signora mortale
Che ha così poco tempo
Per riempire il suo baule e sistemare
Il grande cambio di stagione -

Quanto rapide, quanto gravose -
Quali urgenze vi sarebbero -
Ma la natura sarà sollecita
E avrà un'ora d'avanzo.

Per fare più bella qualche inezia
Che era già bella prima -
Ammaliante nel restare,
E ancor più nel partire.

La natura conosce bene il proprio mestiere, non si lascia prendere dall'ansia quando il cambio di stagione rende necessario riporre il vecchio e dar aria al nuovo. Lo fa da tempo immemorabile e riesce persino a tenere da parte il tempo per dare un ultimo tocco a una qualsiasi inezia, a un particolare che certamente sfuggirebbe a un'ansiosa signora intenta allo stesso lavoro; il suo fascino resta immutato, perché il restare e il partire sono soltanto due facce del suo imperturbabile ciclo perenne.


F1788 (?) / J1763 (?)

Fame is a bee.
It has a song -
It has a sting -
Ah, too, it has a wing.
    La fama è un'ape.
Ha un canto -
Ha un pungiglione -
Ah, e poi, ha un'ala.

La fama porta con sé canti di lode, poi le ferite dell'oblio e quindi, inevitabilmente, vola via.
Il pungiglione del secondo verso potrebbe essere anche il simbolo di un'arma a disposizione di chi è toccato dalla fama; in questo caso potremmo leggerla così: la fama dona gloria spirituale (song) e concreta (sting), ma non dimentichiamo che prima o poi userà le ali per volare via.


F1789 (?) / J1764 (?)

The saddest noise, the sweetest noise,
The maddest noise that grows, -
The birds, they make it in the spring,
At night's delicious close,

Between the March and April line -
That magical frontier
Beyond which summer hesitates,
Almost too heavenly near.

It makes us think of all the dead
That sauntered with us here,
By separation's sorcery
Made cruelly more dear.

It makes us think of what we had,
And what we now deplore.
We almost wish those siren throats
Would go and sing no more.

An ear can break a human heart
As quickly as a spear.
We wish the ear had not a heart
So dangerously near.

    Il suono più triste, il suono più dolce,
Il suono più pazzo che esista, -
Gli uccelli, lo fanno in primavera,
Al delizioso chiudersi della notte,

Sulla linea fra marzo e aprile -
Quella magica frontiera
Al di là della quale l'estate esita,
Quasi troppo celestialmente vicina.

Ci fa pensare a tutti i morti
Che si aggiravano con noi qui,
Dal sortilegio della separazione
Resi crudelmente più cari.

Ci fa pensare a ciò che avevamo,
E a ciò che ora piangiamo.
Quasi vorremmo che quelle gole incantatrici
Se ne andassero e non cantassero più.

Un orecchio può spezzare un cuore umano
Tanto in fretta quanto una lancia.
Vorremmo che l'orecchio non avesse un cuore
Così pericolosamente vicino.

Il canto degli uccelli, insieme triste, dolce e pazzo, annuncia l'arrivo della primavera, in quella linea di confine fra marzo e aprile che è anche preludio di un'estate ancora nascosta ma già così vicina. È un canto che porta gioia e rinascita, ma anche nostalgia per coloro che non potranno più vedere questo miracolo che si ripete. E quando il rimpianto supera l'incanto di quelle gole così simili a quelle di sirene quasi vorremmo zittirli, perché l'orecchio è troppo vicino al cuore, e un suono fa presto a percorrere quella strada così breve, senza lasciarci il tempo di deviarlo.
Gli ultimi due versi sono anche un tributo al legame diretto, senza mediazioni, fra la musica e il sentimento, un legame che fa venire in mente una brano della Recherche proustiana: "E come certi esseri sono gli ultimi testimoni d'una forma di vita che la natura ha abbandonata, mi chiedevo se la musica non fosse l'esempio unico di ciò che sarebbe potuta essere - se non vi fossero state l'invenzione del linguaggio, la formazione delle parole, l'analisi delle idee - la comunicazione delle anime. È, la musica, come una possibilità che non ha avuto seguito; l'umanità ha imboccato altre strade, quelle del linguaggio parlato e scritto." (Marcel Proust, La Prigioniera, in Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, 1986/93, traduzione di Giovanni Raboni, vol. III, pag. 667).