Emily Dickinson

The Complete Poems
Tutte le poesie

J1751 - 1775

Traduzione e note di Giuseppe Ierolli


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Appendice

Indice Johnson
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J1751 (?) / F1768 (?)

There comes an hour when begging stops,
When the long interceding lips
Perceive their prayer is vain.
"Thou shalt not" is a kinder sword
Than from a disappointing God
"Disciple, call again."
    Viene l'ora in cui termina la supplica,
Quando le labbra a lungo mediatrici
Percepiscono che la preghiera è vana.
"Non devi" è più benevola spada
Che da un frustrante Dio
Un "Discepolo, ripassa."

Arriva il momento in cui si rinuncia al dubbio, o a un desiderio fortemente voluto; o meglio, si accetta di non sapere, ci si rassegna a non avere, una condizione meno frustrante di un continuo chiedere che non approda a nulla.


J1752 (?) / F1769 (?)

This docile one inter
While we who dare to live
Arraign the sunny brevity
That sparkles to the Grave.

On her departing span
No wilderness remain
As dauntless in the House of Death
As if it were her own -

    Docile chi è interrato
Mentre noi che osiamo vivere
Accusiamo la brevità del sole
Che brilla su quella Tomba.

Nello spazio della sua dipartita
Non resta desolazione
Così impavida nella Casa della Morte
Come se fosse la sua.

Sulla trascrizione di Millicent Todd intervenne poi la madre Mabel, con piccole correzioni e aggiungendo varianti alle due già inserite dalla figlia, fra le quali due per l'intero verso 7: "As playful in the Porch of Death" ("Così giocosa nel Patio della Morte") e "As happy in her crib of dust" ("Così felice in quella casetta di polvere").

Il compianto e la reazione contro la morte appartengono a chi resta, mentre chi muore non può che accettare docilmente il suo destino e prepararsi ad abitare quella che d'ora in poi sarà la sua casa.
Il pronome al quinto verso fa pensare a un soggetto reale, femminile, non identificabile anche perché la mancanza del manoscritto non permette datazione.


J1753 (?) / F1770 (?)

Through those old grounds of memory,
The sauntering alone
Is a divine intemperance
A prudent man would shun.
Of liquors that are vended
'Tis easy to beware
But statutes do not meddle
With the internal bar.
Pernicious as the sunset
Permitting to pursue
But impotent to gather,
The tranquil perfidy
Alloys our firmer moments
With that severest gold
Convenient to the longing
But otherwise withheld.
    Per quei vecchi campi della memoria,
Vagabondare da soli
È un'intemperanza divina
Che un uomo prudente eviterebbe.
Da liquori in vendita
È facile guardarsi
Ma gli statuti non hanno a che fare
Col tribunale interno.
Perniciosa come il tramonto
Che permette di perseguire
Ma impotente a raccogliere,
La tranquilla perfidia
Lega i nostri momenti più saldi
Con quell'oro inflessibile
Conveniente per il desiderio
Ma altrimenti negato.

Ripercorrere la propria memoria è un esercizio pericoloso, che una persona prudente dovrebbe evitare. È molto più facile difendersi dal mondo che da quel tribunale interno, sempre pronto a far risalire alla mente ricordi che possono sì soddisfare i nostri desideri di ripercorrere il passato, ma che poi non approdano a nulla, forse perché desideriamo quasi sempre impossibili ritorni, di cose, persone o sentimenti ormai soltanto legati all'inflessibile e prezioso archivio della memoria ma impraticabili nel presente.


J1754 (?) / F1777 (?)

To lose thee - sweeter than to gain
All other hearts I knew.
'Tis true the drought is destitute,
But then, I had the dew!

The Caspian has it's realms of sand,
It's other realm of sea.
Without the sterile perquisite,
No Caspian could be.

    Perdere te - più dolce che guadagnare
Tutti gli altri cuori che conosco.
È vero che la siccità è indigenza,
Ma allora, ho avuto la rugiada!

Il Caspio ha il suo regno di sabbia,
L'altro suo regno di mare.
Senza la sterile prerogativa,
Nessun Caspio potrebbe esserci.

L'amore è un sentimento assoluto e unico, perderlo presuppone l'averlo avuto prima; per questo è più dolce quella perdita rispetto a guadagni non richiesti. Vivere nella siccità significa patire, ma significa anche aver gustato prima le dolci gocce di rugiada. In fin dei conti nulla ha una sola faccia, anche il mare presuppone, oltre all'acqua, un'arida spiaggia, senza la quale non sarebbe più mare.


J1755 (?) / F1779 (?)

To make a prairie it takes a clover and one bee,
One clover, and a bee,
And revery.
The revery alone will do,
If bees are few.
    Per fare un prato va benone un trifoglio e un calabrone,
Un trifoglio, e un calabrone,
E immaginazione.
L'immaginazione da sola basterà,
Se di calabroni penuria ci sarà.

Il mondo è fatto di piccole cose ma, soprattutto, di fantasia, sogno, immaginazione. Se manca qualcosa si può supplire con la fantasia, se manca questa l'abbondanza non servirà a nulla.
Il testo non ha quasi bisogno di traduzione, ho preferito perciò prendermi qualche libertà e mantenere la struttura delle rime: aaabb con rimalmezzo al primo verso.


J1756 (?) / F1771 (?)

'Twas here my summer paused
What ripeness after then
To other scene or other soul
My sentence had begun.

To winter to remove
With winter to abide
Go manacle your icicle
Against your Tropic Bride

    Fu qui che la mia estate s'interruppe
Che maturazione dopo di allora
Verso altro scenario o altra anima
La mia sentenza ebbe inizio.

Verso l'inverno muovere
Con l'inverno convivere
Va' ad ammanettare il tuo ghiacciolo
Alla tua Sposa Tropicale

L'estate finisce quando finisce l'amore; da quel momento la sentenza è esecutiva e ci porta in uno scenario completamente diverso, come se avessimo cambiato anche la nostra anima. È una sentenza che prevede di andare verso l'inverno, di convivere col suo gelo, come se una sposa fino a qual momento ardente d'amore si trovasse ammanettata a un freddo e inerte ghiacciolo.


J1757 (?) / F1775 (?)

Upon the gallows hung a wretch,
Too sullied for the hell
To which the law entitled him.
As nature's curtain fell
The one who bore him tottered in, -
For this was woman's son.
"'Twere all I had," she stricken gasped -
Oh, what a livid boon!
    Dalla forca pendeva uno sventurato,
Troppo sudicio per l'inferno
Al quale la legge l'aveva indirizzato.
Mentre cadeva il sipario della natura
Colei che l'aveva partorito venne barcollando, -
Perché era figlio di donna.
"Era tutto ciò che avevo", affranta ansimò -
Oh, che livido dono!

Anche un pendaglio da forca, la cui anima è troppo sudicia persino per l'inferno, ha una madre che soffre per lui, che vede quel corpo ormai illividito, quell'uomo reietto da tutti, soltanto come un figlio da piangere.


J1758 (?) / F1179 (1870)

Where every Bird is bold to go
And Bees abashless play
The Foreigner before he knocks
Must thrust the Tears away -
    Dove ogni Uccello è libero di andare
E le Api giocano sfrontate
Lo Straniero prima di bussare
Deve le Lacrime allontanare -

Franklin cita il manoscritto autografo, dato da Mabel Todd a Marion Freeman Elwell e da questa al Vassar College, evidentemente non ancora comparso all'epoca dell'edizione Johnson.

La natura non conosce l'affanno che assedia noi mortali, perciò, se dovessimo chiedere di entrare nel mondo spensierato degli uccelli e delle api, dovremmo prima scacciare quelle lacrime che là sarebbero fuori posto.


J1759 (?) / F1786 (?)

Which misses most -
The hand that tends
Or heart so gently borne,
'Tis twice as heavy as it was
Because the hand is gone?
Which blesses most
The lip that can,
Or that that went to sleep
With "if I could" endeavoring
Without the strength to shape?
    Che cosa manca di più -
La mano che dà sollievo
O il cuore così lievemente portato,
Due volte più pesante di com'era
Poiché la mano se n'è andata?
Che cosa santifica di più
Il labbro che può,
O quello che andò a dormire
Tentando un "se potessi"
Senza la forza di foggiare?

Il testo è noto da due trascrizioni: di Frances Norcross (quella riportata sopra) e di Mabel Todd. Non è accertato se Mabel Todd abbia trascritto la poesia da un autografo, ora perduto, o dalla trascrizione di Frances Norcross; le due versioni sono praticamente identiche, a parte qualche modifica nella punteggiatura e la divisione in due strofe della seconda.

Due domande a cui ED dà due risposte ciascuna; le risposte, o meglio le alternative, alle due domande sono simmetriche: la prima è connotata di attiva certezza (la mano che aiuta e il labbro capace di pronunciare parole certe), la seconda di dubbio incerto e sfuggente (la mano che se va e lascia il cuore pesante più di prima e il labbro che va a dormire con parole di incertezza e conscio dei propri limiti). Qual è la riposta giusta? Che cos'è che ci manca di più, o che ci santifica di più, la certezza della fede o l'incertezza del dubbio? La costruzione dei versi sembra proprio indicare nella seconda coppia, quella connotata di incertezza, la riposta più giusta: le certezze hanno un limite oltre il quale non riescono ad andare, danno risposte alle quali bisogna credere senza chiedere; il dubbio è l'alimento di una vita che non accetta l'illusorio sapere del non chiedere.
La simmetria delle due coppie di alternative ha anche una rappresentazione formale: le due certezze sono lapidarie, per ciascuna di esse basta un solo verso; il dubbio invece, com'è sua natura, è più sfumato, ha bisogno di tre versi per essere descritto.


J1760 (1882) / F1590 (1882)

Elysium is as far as to
The very nearest Room
If in that Room a Friend await
Felicity or Doom -

What fortitude the Soul contains,
That it can so endure
The accent of a coming Foot -
The opening of a Door -

    L'Eliso è lontano quanto
La più vicina della Stanze
Se in quella Stanza un Amico attende
Felicità o Condanna -

Quanta forza contiene l'Anima,
Che riesce a sopportare così
Il risuonare di un Passo in arrivo -
L'aprirsi di una Porta -

L'amico che attende nella prima strofa sta morendo, aspetta di sapere se andrà in paradiso o all'inferno, o sta semplicemente aspettando l'esito di qualcosa, una notizia che potrebbe essere gioiosa o dolorosa? Possiamo leggerla in entrambi i modi, perché quella stanza diventa comunque un simbolo di quell'aldilà evocato nella prima parola della poesia, un luogo dove attendere trepidamente il proprio destino, la sentenza che verrà annunciata dal risuonare di passi in arrivo e dall'aprirsi di una porta. Aspettare quei passi è una prova molto dura, soltanto un'anima forte riesce a farlo senza essere sopraffatta dall'attesa.
Bacigalupo legge nella seconda strofa anche "la paura dell'incontro caratteristica di E.D.", un'annotazione che trova conferma in versi che sembrano trasmettere ammirazione per chi riesce a dominare quella paura.


J1761 (?) / F397 (1862)

A train went through a burial gate,
A bird broke forth and sang,
And trilled, and quivered, and shook his throat
Till all the churchyard rang;

And then adjusted his little notes,
And bowed and sang again.
Doubtless, he thought it meet of him
To say good by to men.

    Un corteo attraversava un funebre cancello,
Un uccello venne improvviso e cantò,
E trillò, e vibrò, e si agitò la sua gola
Finché tutto il camposanto ne risuonò;

E poi aggiustò le sue piccole note,
E s'inchinò e cantò ancora.
Senza dubbio, riteneva suo dovere
Dire addio agli uomini.

Secondo Franklin la poesia era compresa nel Fascicolo 20, in un foglio, ora perduto, dato da Martha Bianchi a Herbert F. Jenkins. Il testo è quello dell'edizione delle poesie del 1890.
A proposito di "train" nel primo verso, Johnson annota: "L'uso del termine 'train' è chiarito da una lettera di ED alla sua amica Abiah Root del 28 marzo 1846 (Johnson la cita qui come "unpublished" e in effetti la lettera fu pubblicata tre anni dopo, nell'edizione delle lettere del 1958: L11):
"Yesterday as I sat by the north window the funeral train entered the open gate of the church yard, following the remains of Judge [John] Diskinson's wife to her lon home."
("Ieri mentre ero seduta accanto alla finestra a nord il corteo funebre entrò dai cancelli spalancati del camposanto, seguendo i resti della moglie del Giudice [John] Dickinson.")

L'uccello, che si sente in dovere di dare addio agli uomini che lasciano la vita, è anche la natura che continua il suo ciclo, magari fermandosi un istante a salutare un suo abitante che se ne va.


J1762 (?) / F1787 (?)

Were nature mortal lady
Who had so little time
To pack her trunk and order
The great exchange of clime -

How rapid, how momentous -
What exigencies were -
But nature will be ready
And have an hour to spare.

To make some trifle fairer
That was too fair before -
Enchanting by remaining,
And by departure more.

    Se la natura fosse una signora mortale
Che ha così poco tempo
Per riempire il suo baule e sistemare
Il grande cambio di stagione -

Quanto rapide, quanto gravose -
Quali urgenze vi sarebbero -
Ma la natura sarà sollecita
E avrà un'ora d'avanzo.

Per fare più bella qualche inezia
Che era già bella prima -
Ammaliante nel restare,
E ancor più nel partire.

La natura conosce bene il proprio mestiere, non si lascia prendere dall'ansia quando il cambio di stagione rende necessario riporre il vecchio e dar aria al nuovo. Lo fa da tempo immemorabile e riesce persino a tenere da parte il tempo per dare un ultimo tocco a una qualsiasi inezia, a un particolare che certamente sfuggirebbe a un'ansiosa signora intenta allo stesso lavoro; il suo fascino resta immutato, perché il restare e il partire sono soltanto due facce del suo imperturbabile ciclo perenne.


J1763 (?) / F1788 (?)

Fame is a bee.
It has a song -
It has a sting -
Ah, too, it has a wing.
    La fama è un'ape.
Ha un canto -
Ha un pungiglione -
Ah, e poi, ha un'ala.

La fama porta con sé canti di lode, poi le ferite dell'oblio e quindi, inevitabilmente, vola via.
Il pungiglione del secondo verso potrebbe essere anche il simbolo di un'arma a disposizione di chi è toccato dalla fama; in questo caso potremmo leggerla così: la fama dona gloria spirituale (song) e concreta (sting), ma non dimentichiamo che prima o poi userà le ali per volare via.


J1764 (?) / F1789 (?)

The saddest noise, the sweetest noise,
The maddest noise that grows, -
The birds, they make it in the spring,
At night's delicious close,

Between the March and April line -
That magical frontier
Beyond which summer hesitates,
Almost too heavenly near.

It makes us think of all the dead
That sauntered with us here,
By separation's sorcery
Made cruelly more dear.

It makes us think of what we had,
And what we now deplore.
We almost wish those siren throats
Would go and sing no more.

An ear can break a human heart
As quickly as a spear.
We wish the ear had not a heart
So dangerously near.

    Il suono più triste, il suono più dolce,
Il suono più pazzo che esista, -
Gli uccelli, lo fanno in primavera,
Al delizioso chiudersi della notte,

Sulla linea fra marzo e aprile -
Quella magica frontiera
Al di là della quale l'estate esita,
Quasi troppo celestialmente vicina.

Ci fa pensare a tutti i morti
Che si aggiravano con noi qui,
Dal sortilegio della separazione
Resi crudelmente più cari.

Ci fa pensare a ciò che avevamo,
E a ciò che ora piangiamo.
Quasi vorremmo che quelle gole incantatrici
Se ne andassero e non cantassero più.

Un orecchio può spezzare un cuore umano
Tanto in fretta quanto una lancia.
Vorremmo che l'orecchio non avesse un cuore
Così pericolosamente vicino.

Il canto degli uccelli, insieme triste, dolce e pazzo, annuncia l'arrivo della primavera, in quella linea di confine fra marzo e aprile che è anche preludio di un'estate ancora nascosta ma già così vicina. È un canto che porta gioia e rinascita, ma anche nostalgia per coloro che non potranno più vedere questo miracolo che si ripete. E quando il rimpianto supera l'incanto di quelle gole così simili a quelle di sirene quasi vorremmo zittirli, perché l'orecchio è troppo vicino al cuore, e un suono fa presto a percorrere quella strada così breve, senza lasciarci il tempo di deviarlo.
Gli ultimi due versi sono anche un tributo al legame diretto, senza mediazioni, fra la musica e il sentimento, un legame che fa venire in mente una brano della Recherche proustiana: "E come certi esseri sono gli ultimi testimoni d'una forma di vita che la natura ha abbandonata, mi chiedevo se la musica non fosse l'esempio unico di ciò che sarebbe potuta essere - se non vi fossero state l'invenzione del linguaggio, la formazione delle parole, l'analisi delle idee - la comunicazione delle anime. È, la musica, come una possibilità che non ha avuto seguito; l'umanità ha imboccato altre strade, quelle del linguaggio parlato e scritto." (Marcel Proust, La Prigioniera, in Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, 1986/93, traduzione di Giovanni Raboni, vol. III, pag. 667).


J1765 (?) / F1747 (?)

That Love is all there is
Is all we know of Love,
It is enough, the freight should be
Proportioned to the groove.
    Che l'Amore sia tutto quel che c'è
È tutto ciò che sappiamo dell'Amore,
È abbastanza, il carico dev'essere
Proporzionato al solco.

L'amore è tutto, soltanto questo possiamo dire di lui. Ma è quanto basta, perché le parole con cui lo descriviamo debbono essere proporzionate alla sua grandezza, o meglio, alla sua totalità.
Interessanti le varie traduzioni degli ultimi due versi: "E ci basta, se il carico / è proporzionato al contenitore." (Raffo nel Meridiano, con il probabile intervento redazionale di Bacigalupo); "E basti: sia il pedaggio in proporzione / al carico che porta." (Raffo, Fògola, 1986); "è abbastanza, il carico in teoria / proporzionale al solco." (Lanati); "tanto basta, il carico dev'essere / proporzionato al solco." (Sabbadini); "Non è poco, in teoria il carico / è proporzionato al solco." (Sinigaglia).


J1766 (?) / F1746 (?)

Those final Creatures, - who they are -
That faithful to the close
Administer her ecstasy,
But just the Summer knows.
    Chi siano - quelle finali Creature -
Che fedeli alla conclusione
Amministrano la sua estasi,
Soltanto l'Estate lo sa.

La fine dell'estate coinvolge tutta la natura e, come tutti i riti di passaggio, è un momento estatico e misterioso; soltanto la stessa estate sa a chi è affidata quella conclusione che prelude ai colori autunnali e al gelo dell'inverno.


J1767 (?) / F1785 (?)

Sweet hours have perished here,
This is a timid room -
Within it's precincts hopes have played
Now fallow in the tomb.
    Dolci ore sono perite qui,
Questo è un luogo timoroso -
Entro i suoi confini hanno giocato speranze
Ora inerti nella tomba.

La versione riportata sopra è quella dell'edizione Franklin, ripresa dalla trascrizione di Mabel Loomis Todd. Johnson riprende invece le prime edizioni a stampa (1896 e 1924), dove si legge "mighty" ("potente") al posto di "timid" al v. 2 ed è accolta una variante del manoscritto della Todd: "shadows" ("ombre") al posto di "fallow" nell'ultimo verso.
L'assenza del manoscritto originale non permette di determinare il testo esatto.

I cimiteri racchiudono dolci ore ormai spente e speranze che non giocheranno più con il futuro.


J1768 (1883) / F1606 (1883)

Lad of Athens, faithful be
To thyself,
And Mystery -
All the rest is Perjury -
    Giovinetto d'Atene, sii fedele
A te stesso,
E al Mistero -
Tutto il resto è Spergiuro -

La poesia è in una bozza di lettera per un destinatario sconosciuto (L865), che probabilmente può essere identificato in Samuel Bowles figlio. I versi sono preceduti da: "To ask of each that gathered Life, Oh, where did it grow, is intuitive. / That you have answered this Prince Question to your own delight, is joy to us all -" ("Chiedere a ognuno che ha raccolto Vita, Oh, dove cresceva, è intuitivo. / Che lei abbia risposto con questa Questione Principe al suo piacere, è gioia per tutti noi -") e seguiti da "Please say with my tenderness to your Mother, I shall soon write her." ("La prego di dire a sua Madre con tutta la mia tenerezza, che le scriverò presto.").
C'è anche un altro manoscritto (un abbozzo rimasto fra le carte di ED su un foglio contenente altri appunti), con il testo identico e i primi tre versi scritti di seguito.

Un invito a guardare in se stessi e ad accettare che la vita è in gran parte mistero. Volerlo spiegare con soluzioni già pronte significa soltanto mentire.
Nella bozza di lettera ED mette più l'accento sul dubbio; nella prima frase la necessità di interrogarci, di chiederci da dove veniamo, in quali luoghi misteriosi possa essere cresciuta la vita che ci è stata donata; nella seconda la gioia di sapere che qualcuno antepone questa "questione principe" al piacere esteriore senza domande.
Il "giovinetto" del primo verso potrebbe essere il giovane figlio di Samuel Bowles, a cui forse la lettera era indirizzata; "d'Atene" per sottolinearne probabilmente la voglia di conoscere e di sapere.


J1769 (1868?) / F1153 (1868?)

The longest day that God appoints
Will finish with the sun.
Anguish can travel to it's stake,
And then it must return.
    Il giorno più lungo che Dio stabilisce
Finirà con il sole.
L'angoscia può avviarsi al suo traguardo,
E poi deve rientrare.

I versi erano in una lettera alle cugine Norcross (L329), evidentemente scritta a seguito di un qualche evento negativo, visto che sono preceduti da "The little notes shall go as fast as steam can take them. / Our hearts already went. Would we could mail our faces for your dear encouragement. / Remember" ("Il biglietto sarà veloce quanto potrà il vapore che lo porta. / I nostri cuori già andarono. Vorremmo poter inviare i nostri volti per incoraggiare i vostri tanto cari.").
L'autografo è perduto e Frances Norcross, dopo una richiesta di chiarimenti da parte di Mabel Todd, rispose di non ricordare che cosa potesse aver provocato questa lettera.

L'angoscia, per grande che sia, è sottoposta alle leggi della natura: prima o poi dovrà finire.


J1770 (1870) / F1181 (1870)

Experiment escorts us last -
His pungent company
Will not allow an Axiom
An Opportunity -
    L'esperimento ci scorta fino all'ultimo -
La sua pungente compagnia
Non permette un Assioma
Un'Opportunità -

Compresa in una bozza di lettera a Higginson dell'ottobre 1870 (L353), presumibilmente mai spedita.

La curiosità, la voglia di conoscere, lo sperimentare, ci accompagna per tutta la vita e non ci permette di fissare certezze, di circoscrivere in un assioma, o anche soltanto in una opportunità, un sapere che resterà sempre imperfetto.


J1771 (1881) / F1557 (1881)

How fleet - how indiscreet an one -
how always wrong is Love -
The joyful little Deity
We are not scourged to serve -
    Un qualcosa di volatile - di indiscreto -
sempre fuori luogo è l'Amore -
La gioiosa piccola Divinità
Che non siamo costretti a servire -

In una bozza di lettera a Otis Lord del 1881 (L695). Nell'autografo i primi due versi sono scritti in forma di prosa.

Un inusuale ritratto dell'amore, descritto nei suoi caratteri meno attraenti: volatile, indiscreto, sempre fuori luogo; ma in fin dei conti nessuno ci obbliga a frequentarlo.
"To scourge" significa "punire severamente, frustare"; qui mi sembra usato più con il significato di "obbligare, costringere".


J1772 (1881) / F-

Let me not thirst with this Hock at my Lip,
Nor beg, with Domains in my Pocket -
    Non fatemi aver sete con questo Nettare alle Labbra,
Né mendicare, con Domini in Tasca -

I versi fanno parte di un autografo che Johnson descrive così: "... una bozza disordinata con varie righe di scrittura su un frammento di busta contenente messaggi che nella loro stesura finale furono presumibilmente spediti al giudice Lord." (vedi il frammento PF66). Franklin li esclude dalla sua edizione.

Talvolta non bastano domini e nettari per essere ricchi e placare la sete, specialmente quando nettari e domini non possono essere di dominio pubblico. Il probabile riferimento di questi versi al giudice Lord, la cui relazione con ED fu fortemente osteggiata dai familiari, specialmente di lui, suggerisce il rimpianto di un amore finalmente corrisposto, che però non riesce a uscire dalla clandestinità imposta dalle convenzioni sociali.
"Hock" è un vino pregiato del Reno.


J1773 (1883) / F1622 (1883)

The Summer that we did not prize
Her treasures were so easy
Instructs us by departing now
And recognition lazy -
Bestirs itself - puts on it's Coat
And scans with fatal promptness
For Trains that moment out of sight
Unconscious of his smartness -
    L'Estate che non apprezzammo
Tanto facili erano i suoi tesori
Ci istruisce ora che se ne sta andando
E il riconoscimento è tardo -
Si scuote - mette il Soprabito
E vaglia con fatale prontezza
Treni in quel momento fuori di vista
Inconsapevoli della sua sveltezza -

Le cose si apprezzano soltanto nel momento in cui le stiamo perdendo, ed è quasi sempre troppo tardi; così, l'estate vissuta senza apprezzarne troppo i tesori ci insegna a valutarla degnamente mentre si sta accomiatando, quando diventiamo consci di quei tesori che ci sembravano così facili da godere e di cui sentiremo certo la mancanza.
Gli ultimi tre versi li ho interpretati come un'immagine dell'estate che va alla stazione, legge attentamente gli orari delle partenze e resta in impaziente attesa del primo treno, che ancora non si vede, un treno che è inconsapevole di quel passeggero che va di fretta perché deve lasciare il posto all'autunno che arriva.


J1774 (1870) / F1182 (1870)

Too happy Time dissolves itself
And leaves no remnant by -
'Tis Anguish not a Feather hath
Or too much weight to fly -
    Un Tempo troppo felice si dissolve
E non lascia traccia -
È l'Angoscia che non ha Penne
O troppo pesanti per volare -

Compresa in una bozza di lettera a Higginson dell'ottobre 1870 (L353), presumibilmente mai spedita.

La felicità fa presto a dissolversi, mentre l'angoscia non è dotata di ali o, se ce l'ha, le ha troppo pesanti per volare via.


J1775 (?) / F895 (1865)

The Earth has many keys -
Where Melody is not
Is the Unknown Peninsula -
Beauty - is Nature's Fact -

But Witness for Her Land -
And Winess for Her Sea -
The Cricket is Her utmost
Of Elegy, to Me -

    La Terra ha molte tonalità -
Dove non c'è Melodia
C'è la Sconosciuta Penisola -
La Bellezza - è Realtà di Natura -

Ma Testimone della Sua Terra -
E Testimone del Suo Mare -
Il Grillo è il Suo più alto grado
Di Elegia, per Me -

Nell'edizione Johnson è considerata una poesia autonoma, in quella di Franklin i versi fanno parte di una delle versioni della F895 (vedi la nota alla J1068-F895).

Anche se sono in realtà parte di una poesia più lunga, i versi, come succede spesso in ED (vedi l'uso che talvolta fece di versi staccati nelle lettere), reggono benissimo anche da soli. Vedi il commento alla J1068-F895.